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scarti e metamorfosi

scarti e metamorfosi

Monthly Archives: March 2014

Utrillo (disegni n.3)

28 Friday Mar 2014

Posted by claudiapatuzzi in disegni

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disegni n.3, disegno di Claudia Patuzzi n.3, Montmartre, pittore, Utrillo

Ecco il mio terzo disegno!

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Maurice Utrillo, disegno di Claudia Patuzzi (cliccare sull’immagine per ingrandirla)

Perché ho disegnato questo ritratto senza data ? Perché ho scelto Maurice Utrillo e non Van Gogh, il pittore preferito della mia infanzia tormentata dalla paura del buio ?  Non riesco a ricordarlo con esattezza.  Ero molto giovane allora. Sedici o diciassette anni al massimo.   Forse è stata quella piega incisa sulla guancia, i suoi occhi persi in un “oltre” indecifrabile o, piuttosto,  il ricordo di un suo quadro immerso nella neve, nel quartiere di Montmartre : una stradina in discesa, delle case, degli alberi, un silenzio ovattato…
Ma dove trovarlo?

Di una cosa sono ancora sicura. La mia passione per i volti, i ritratti, gli sguardi e il loro segreto.

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Claudia Patuzzi

L’armadio di Calvino I/III (dialoghi immaginari n.1)

23 Sunday Mar 2014

Posted by claudiapatuzzi in dialoghi immaginari

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Antonio Ranieri, Campo Marzio, cane Asta, décalage Roma Parigi, Giacomo Leopardi, italo calvino, l'armadio di Calvino n.1, Lezioni americane, Ludovico Ariosto, Myrna Loy, Pantheon, Recanati, Roma 1985, San Remo, Villa Meridiana

001_Piazza180campomarzioPersonaggi : Italo Calvino e Giacomo Leopardi.
È la primavera del 1985: siamo in un appartamento del centro di Roma, nei pressi del Pantheon, con una portafinestra che dà su una grande terrazza.  Un’altra finestra, più piccola, guarda una stradina laterale.  Sulla parete accanto alla finestra, vi sono tre tavoli con molti libri, giornali, una macchina da scrivere, una bottiglia d’acqua, un bicchiere, una sedia, una poltrona. Contro la parete una libreria piena di libri. Vicino alla porta, un grosso armadio.

Italo Calvino sta guardando la strada fuori della finestra, ma in realtà, non la vede.  In quel momento è ancora nella sua casa d’infanzia a San Remo. Una cosa confusa che sta correndo nel  giardino lussureggiante di Villa Meridiana verso il profilo austero di sua madre. Lei si volta, gli sorride per un istante. È il primo pomeriggio e lui sta fuggendo di nascosto diretto al cinema.  Ha tredici o sedici anni… A quei tempi si rifugiava nella sala semivuota con le gambe allungate sulla spalliera davanti per godere il film  e nutrire le sue fantasticherie nel mondo di Hollywood, di Jean Harlow, Myrna Loy e il cane Asta…

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Calvino si copre la fronte con la mano: d’inverno, quando usciva dal cinema osservava spaesato il buio di fuori, simile a un  confine tra due mondi diversi, uno reale e uno immaginario, oscillando tra i due, indeciso tra realtà e rêveries… “Ma a che serve ricordare? Solo a distrarmi dai miei doveri…”.Dopo un sospiro,  si allontana dalla finestra, chiude i vetri, ritorna al suo tavolo e beve dun fiato un bicchier d’acqua.
” …Ho ancora la malattia dello spettatore, sono ancora un magazzino di sensazioni cristallizzate in ricordi… e poi tutto è finito, è sopraggiunta la censura del ‘38 e la guerra… Ai tempi del cinema di San Remo non conoscevo ancora il fascino dei libri, della letteratura…” mormora tra sé, mentre apre un libro.
– Signor Calvino ?
Una voce sconosciuta, dolce come quella di un bambino, lo sta chiamando. La voce di chi? In casa, oltre lui, non c’è nessuno.
Calvino si volta. La porta della stanza è chiusa. Ascolta con attenzione. Nessun rumore. Con una mossa improvvisa si affaccia di nuovo la finestra e, per un attimo, crede di rivedere Parigi, lo square Chatillon, la Tour Montparnasse, un grattacielo… Il negozio del macellaio… Le riunioni dell’Oulipo… La magnifica biblioteca…
“Due città, Roma, Parigi… ma che sto dicendo? Con San Remo sono tre e con Torino sono quattro…e con New York sono cinque! In quante città può vivere un uomo? Al massimo due… Uno scrittore, invece, ne può avere tante quante ne può immaginare, segrete e invisibili…
– Psst !
– Chi è ?
Stavolta Calvino ha capito da dove viene quel suono : dal vecchio armadio di fianco alla porta. Si alza con circospezione. Apre un’anta e immerge la testa tra i cappotti, le giacche, i pantaloni e un vecchio ombrello. Quando ne esce, ha un lieve sorriso sulle labbra : – Che paura, per un momento ho creduto… Ma che sto fantasticando? dietro i vestiti e i cappotti, c’è solo un ammasso di panni sporchi per la lavanderia…
Sollevato, Calvino torna al suo tavolo, riprende la penna e un foglio : – Accidenti, queste “Lezioni americane” non finiscono mai…  pensa ad alta voce mentre finisce di scrivere cinque lettere – “ tezza” –la seconda parte di una parola lasciata a metà:  “esat-tezza”.
“Il fascino della doppia t è che si può spezzare, dividere…” pensa invaghito dalle sue città, dallo slancio dei grattacieli di New York, dalla scalette a picco di San Remo, dalla serietà rettilinea delle strade di Torino…
– Psst !

Stavolta Calvino ha un sobbalzo. Resta immobile per qualche istante, poi si dirige con passo deciso verso la finestra. Forse qualcuno lo sta chiamando dalla strada. Quando si affaccia viene irretito dal brusio di quella vita frenetica che continua a brulicare là sotto,  mentre lui deve assolutamente scrivere delle conferenze americane per il prossimo millennio… Per fuggire quella strana sensazione alza lo sguardo verso il cielo dove volano e s’intrecciano  tanti puntini grigi e bianchi,  ali e cinguettii.  Un quadro astratto, grigio e azzurro. Quando si risveglia dalle sue fantasticherie, guarda preoccupato l’orologio. « Devo ritornare al mio lavoro » mormora tra sé.
– Psst signor Calvino !
Stavolta non ha dubbi. Una voce lo ha chiamato per nome. Dopo un istante d’incertezza corre verso l’armadio. Quando apre la seconda anta il mucchio di vestiti sporchi si muove verso di lui dicendo :
– Ma come, non mi riconosce ? Sono Leopardi, quello dell’ESATTEZZA !

004_LEOP DISEGNO 740 - Version 2
– Leopardi ? Il conte Giacomo Leopardi, il grande poeta di Recanati ?
– Sì, proprio lui, quello della LEGGEREZZA, almeno secondo quanto avete scritto voi : «capace di  togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare ».
– Conte… che fate qui ? Com’è possibile ?
– Sì, lo so, sono morto da 148 anni, ma le assicuro che non puzzo. Leopardi si soffia il naso con un vecchio fazzoletto, poi riprende a parlare: Si faccia coraggio, non sono un incubo. Mi dia subito una sedia, sono tutto infreddolito!
Calvino gli porge una sedia. – Si accomodi. Vuole un bicchier d’acqua?
– Grazie, con piacere !
Calvino guarda il poeta allibito, senza parlare. Leopardi beve rumorosamente, si asciuga la bocca con il fazzoletto e dice : -Sono venuto a ringraziarla !
– Ringraziare me ?
– Per tutto quello che sta scrivendo sulla mia leggerezza, esattezza e rapidità, anche se devo confessarvi che zoppico.
– Ne sono onorato.
– Nessuno mi ha capito.
– Già. È difficile essere capiti veramente, è meglio tacere.
– Sempre il solito colle, la donzelletta che vien dalla campagna e la tiritera sulle mie malattie e il mio pessimismo. Nessuno ha avuto un temperamento più allegro di me. Terribile e awful è la potenza del riso, chi ha il coraggio di ridere, ha anche il coraggio di morire ! E adesso circolano pettegolezzi su me e quel povero Antonio Ranieri !
– Per un classico del vostro livello queste chiacchiere sono bazzecole! Voi amate troppo la vita e soprattutto avete l’ironia, un’ironia…
– Attenzione signor Calvino: un’ironia fantastica, come la vostra !
– Avete ragione: quando si resta scornati a questo mondo bisogna bilanciarsi, trovare un equilibrio, sempre più difficile, basato sul minimo possibile, sull’essenzialità. Direi di più: sul potere del riso, ma leggero, aereo e al tempo stesso reale e preciso come Lawrence Sterne… sussurra Calvino abbassando la voce.
– … e come quello di Ariosto!
– Quante coincidenze !
– E poi un giorno ci si risveglia, come me, pieni di acciacchi, davanti a un Inferno puzzolente, simile a un’enorme gruviera…
– …o in una città invisibile.
– …o nell’Asia, come il mio pastore errante ! Signor Calvino perché non venite con me nell’armadio, vi voglio presentare Ludovico Ariosto e il castello di Atlante…
– … e il castello dei destini incrociati ?
– A Recanati i contadini giocavano sempre a carte, urlando, e a volte si scannavano. Ma i tarocchi sono un’altra cosa. Nascondono un segreto geometrico e un mistero inquietante… brr… potete chiudere la finestra? Qui sento freddo!
Calvino chiude la finestra, ma, quando si volta, Leopardi è sparito. Corre verso l’armadio. Guarda dappertutto. Ci sono solo i suoi vestiti, l’impermeabile e i soliti panni da lavare. L’armadio è vuoto. Niente che sia umano o quasi-umano…

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Apre di nuovo la finestra per vedere se, per caso, il conte non fosse uscito dalla porta d’ingresso. Sul marciapiede, lo scalpiccio dei passanti è coperto dalle voci e dal grido degli uccelli che riempiono il cielo azzurro dei loro voli improvvisi e bizzarri, simili a girandole.
« Mio dio ! », pensa con un tuffo al cuore, « che diavolo sto facendo? Non sono nel XVIII secolo, ma nel XX ! Non sono né a Parigi, né a Recanati, ma a Campo Marzio, a Roma !» Intanto Leopardi, con passi veloci, ha già raggiunto il Pantheon. I suoi Classici.

Claudia Patuzzi

Il dittatore (disegni n.2)

21 Friday Mar 2014

Posted by claudiapatuzzi in disegni

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Charlie Chaplin, disegni n.2, disegno di Claudia Patuzzi, Il barone rampante, Il dittatore, italo calvino, Michel de Montaigne

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Il dittatore, disegno di Claudia Patuzzi (cliccare sul disegno per ingrandirlo)

– Buon giorno, signor padre
– Buon giorno, figlio.
– Sta ella bene ?
– Compatibilmente agli anni e ai dispiaceri.
– Godo di vederla valente .
– Così voglio dire di te, Cosimo. Ho sentito che ti adoperi pel vantaggio comune.
– Ho a cuore la salvaguardia delle foreste dove vivo, signor padre.
– Sai che un tratto del bosco è di nostra proprietà, ereditato dalla tua povera nonna Elisabetta buonanima ?
– Sì, signor padre. In località Belrìo. Vi crescono trenta castagni,  otto pini e un acero.(…) È appunto come membro di famiglia proprieteria di boschi che ho voluto consociare tutti gli interessati  a conservarli.
– … Mi dicono  sia un’associazione di fornai, ortolani e maniscalchi.
– Anche, signor padre. Di tutte le professioni purché oneste.
– Tu sai che potresti comandare alla nobiltà vassalla col titolo di duca ?
– So che quando ho più idee degli altri, do agli altri queste idee, se le accettano ; e questo è comandare.
– E per comandare, oggigiorno, s’usa star sugli alberi ? aveva sulla punta della lingua il barone. Ma a che  valeva tirar ancora in ballo  quella storia ?  Sospirò assorto nei suoi pensieri. Poi si sciolse la cinta  cui era appesa la spada. – Hai diciott’anni… È tempo che ti si consideri un adulto… Io non avrò più molto da vivere… –  e reggeva la spada piatta con le due mani. – Ricordi di essere barone di Rondò ?
– Sì, signor padre, ricordo il moi nome.
– Vorrai essere degno del nome e del titolo che porti ?
– Cercherò  d’esser più degno che posso del nome d’uomo, e lo sarò così d’ogni suo attributo.
– Tieni questa spada, la mia spada -.  S’alzò sulle staffe, Cosimo s’abbassò dal ramo e il Barone arrivò a cingergliela.
– Grazie, signor padre… Le prometto che  ne farò buon uso.
– Addio, figlio mio…
Il Barone voltò il cavallo, diede un breve tratto di redini, cavalcò via lentamente.
Cosimo stette un momento a pensare  se non doveva fargli il saluto con la spada, poi rifletté che il padre glie l’aveva data perché gli servisse da difesa, non per  fare delle mosse da parata,  e la tenne nel fodero.

(Italo Calvino, Il Barone rampante, Einaudi Editori, Torino, 1957, 1965, capitolo XIV)

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***

“Anche sul trono più bello del mondo, non si sta seduti che sul proprio culo . “

( Michel de Montaigne, 1533-1592, Essais, III, 13 )

Claudia Patuzzi

Il piccolo diavolo ( buffe storie n. 15 )

17 Monday Mar 2014

Posted by claudiapatuzzi in buffe storie

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Albert Camus, bar Mexico-City, bucoliche ecloga 1, buffe storie n.15, dante alighieri, Divina commedia canto XXVI, Il piccolo diavolo, inferno, L'Aia, La caduta, Olanda, Scheveningen, Titiro, Virgilio

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antica stampa dell’Aia (cliccare sulla foto per ingrandirla)

Ogni volta che penso al mio viaggio in Olanda, mi ricordo le parole di Albert Camus nei panni di un  “giudice-penitente”, un anziano avvocato rifugiato in un bar malfamato di Amsterdam: “Mexico City”. Questo bar esisteva realmente. Camus ebbe l’occasione di entrarvi durante un soggiorno ad Amsterdam nel 1954. Mi sembra di sentire ancora la sua voce…

“L’Olanda è un sogno, caro signore, un sogno d’oro e di fumo, più fumoso di giorno e più dorato di notte, e giorno e notte questo sogno è popolato di Lohengrin come questi, che trascorrono in sogno su nere biciclette dagli alti manubri, cigni neri che girano senza tregua  per tutto il paese, intorno ai mari, lungo i canali. Sognano con la testa nelle loro nuvole color di rame, girano in tondo, pregano, sonnambuli, nell’incenso dorato della nebbia: non sono più qui. Sono in viaggio  (…) l’Olanda non è soltanto l’Europa dei mercanti, ma il mare, il mare che porta a Cipango o alle isole in cui gli uomini muoiono pazzi e felici…“1 (Albert Camus, La caduta, Garzanti Editori, 1956, 1997, p.30 )

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Camus Albert Camus alla terrazza dei « Due Magots », Boulevard Saint-Germain, Parigi

Quanto tempo è passato dal mio ultimo viaggio a L’Aia? Solo sei mesi, eppure è come se fosse ieri…  Ricordo soprattutto un luogo ameno, verde e tranquillo,  a due passi dal Parlamento (Binnenhof) : davanti a me  brillava un lago solcato da anatre e spruzzi artificiali; dietro le mie spalle scivolava una strada silenziosa costeggiata da un filare di alberi e antiche case in pietra. Sto ancora sognando? Forse…

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L’Aia, il Parlamento (cliccare sulla foto per ingrandirla)

Ben presto mi sono accorta  che l’Aia comprendeva due città. La prima, senza “incenso” né “nebbia”, dove i vetri splendevano, le strade debordavano di fiori così perfetti da sembrare artificiali, mentre i prati erano lisci come moquettes. La seconda più defilata,  ricca di suggestione, abitata da visi pallidi che sfrecciavano indifferenti travolgendo i passanti con i loro campanelli aggressivi.  Lo devo ammettere: l’Aia è una città quasi  “inamidata” (il contrario esatto di Roma), eppure impregnata di una bizzarra  e affascinante suggestione… come quelle antiche case dalla strane porte, sospese tra il presente e il passato, in uno stato di perenne veglia…
La stessa “veglia” di cui parlava Camus? O, al contrario, una veglia simile a quella in cui affonda la nostra Europa, nell’ attesa di un sogno che sembra non arrivare mai…? In questa fase incerta e violenta, forse non basta più il paradiso di un lago o di un’antica torre, i riflessi verdi di un canale o un quadro di Rembrandt, per continuare a credere alla verità dei sogni. Eppure, chi di noi non vorrebbe  fuggire, almeno una volta, dal suo vecchio nido? Chi non vorrebbe dimenticare la sua casetta di Barbie, il suo portaombrelli, il suo vecchio cuscino stropicciato e la bottiglietta  semivuota delle pillole? Chi non vorrebbe ritrovare il suo locus amoenus? E dunque, perché no? Nessuno mi impedisce di uscire dalla mia vecchia tana e andare all’Aia per una settimana!

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L’Aia riflessa in uno specchio. (cliccare sulla foto per ingrandirla)

La voce del giudice-penitente  del bar Mexico-City, risuona dietro le mie spalle : “Bella casa, vero? Le due teste che vede lassù, sono di schiavi negri. Un’insegna. La casa apparteneva a un commerciante di schiavi. Ah! si giocava a carte scoperte a quei tempi ! Le cose si prendevano di petto, si diceva: “Ecco, questa è casa mia, commercio in schiavi, vendo carne nera.” Lei si immagina qualcuno oggi annunciare pubblicamente che fa un mestiere simile? Che scandalo ! Li sento di qui i miei colleghi parigini. Perché su questo argomento sono irriducibili, non esiterebbero a lanciare due o tre manifesti, forse anche più ! pensandoci bene, metterei anch’io la mia firma sotto la loro; La schiavitù, ah, no, siamo contro ! Essere obbligati a impiantarla a casa propria o nelle fabbriche, bene, è nell’ordine delle cose, ma vantarsene è il colmo.” ( Nota 2 : La caduta, p.30, Garzanti,1958)

Cosa sono, in fondo, le “insegne” di La Haye, se non delle carte da visita ben documentate, con tanto di decori e svolazzi, come l’immagine su questa porta signorile :  une cicogna al centro di una griglia elaborata…
« Chissà chi abitava questa bella casa ! » penso, osservando quell’uccello benefico dalla silhouette elegante.

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( cliccare sulla foto per ingrandirla )

« In una città straniera essere troppo curiosi a volte può essere pericoloso… » bisbiglia il giudice-penitente…
– No, non sono d’accordo, signore ! Per me viaggiare è osservare attentamente per poi ricavarne delle deduzioni e, qualche vota, delle scoperte… Da chi era abitata questa casa? Ebbene, guardando quella cicogna dal becco arancione, incoronata da ghirigori di ferro,  penso che sia stata proprio la padrona di casa a voler imprimere la sua immagine sulla porta… Forse è un genius loci che allude a una nascita giunta come una benedizione, un portafortuna in onore del nuovo arrivato… Guardi la porta ! Il legno è liscio, senza un grumo. È una casa molto antica, la famiglia che l’abitava doveva essere molto ricca. Chissà com’era la “mamma” del neo-nato. La padrona di casa…

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( cliccare sulla foto per ingrandirla )

Ecco, questa potrebbe essere il tipo di dama cha abitava un tempo questa casa ! Una signora molto elegante, con guance rubizze e ben nutrite. E ricca: basta vedere il pizzo immacolato, l’anello al mignolo della mano sinistra e il braccialetto. La fede nuziale stranamente non si vede…
– Chissà com’è l’insegna della porta della casa accanto…? sbuffa il giudice penitente.

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( cliccare sulla foto per ingrandirla )

– Questa porta mi piace un pò meno, anche se emana una grande forza, un senso di solidità. Non c’è da stupirsi: quella grossa testa di bue e quel vitellino sono le insegne di un macellaio arricchito. Padre e figlio uniti per l’eternità in cima a una scaletta su una solida pietra.
– Quest’uomo non doveva soffrire la fame !
– E stavolta come se lo immagina ? ridacchia il giudice-penitente.
– Soddisfatto, ricco e grassissimo !

003_grassomacellaio ghiottone180( cliccare sulla foto per ingrandirla )

Giudice-penitente : – Avete esagerato ! Peserà ottanta chili… Che posa tracotante : di chi trasuda ricchezza da tutti i pori. E il vestito…
– La stoffa del nastro rosso attorno al pancione è di purissimo raso. Guardi che pappagorgia! Questo giovanotto è un divoratore di carne: carne di bue, di agnello, di porco, di gallina, di maiale, di tacchino, selvaggina e chi più ne ha, più ne metta… Le piace la mia immaginazione o vuole proporre un altro modello?
– Giudice-penitente : – No, sono soddisfatto, anche se questo trombone non mi è affatto simpatico… Guardate, c’è un’altra porta con un’insegna adatta a voi…

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( cliccare sulla foto per ingrandirla )

– Giudice penitente : – Già, un mercante di schiavi o un mangiatore di pesce… Qualcuno che non ha paura del mare e della morte. Non lo vede? Il cielo è blu scuro, il mare è solcato da grandi onde grigio-verdi che sembrano traboccare oltre il riquadro dell’insegna con tutto il loro fragore, le vele bianche sono gonfie di vento. Quest’insegna è un poema « à lecture ralentie », « a Slow-reading poem. » A sinistra, in fondo, non vede quell’onda aguzza con la punta rossastra, simile a un vulcano lontano ? Mi ricorda qualcosa…

– La riconosco, è  la montagna del Purgatorio descritta nell’ “Inferno” da Dante Alighieri !  http://it.wikipedia.org/wiki/Inferno__Canto_ventiseiesimo#Racconto_dell.27ultimo_viaggio_di_Ulisse_-_vv._85-142                         Su quel veliero Ulisse ha parlato per l’ultima volta ai suoi compagni prima di affondare… Quest’insegna doveva appartenere a un uomo molto coraggioso forse diretto in Africa del Sud… o nell’ Oceano Indiano…

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(cliccare sulla foto per ingrandirla)

– Mio dio, che faccia aggrottata ! Quest’insegna non richiede commenti.
Giudice-penitente: – Già…basta leggere la scritta là in alto…
– Sarebbe stato meglio scrivere la verità: “Non hai scampo !
– … la porta dell’inferno borghese: “attenti a voi ch’entrate…!

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( cliccare sulla foto per ingrandirla )

giudice-pentente : – È un diavoletto con le corna…
– … che ride !
giudice-penitente: – Almeno questa insegna è sincera…
– Leggete la scritta in inglese : “ANCHE UN VECCHIO SPORCACCIONE HA BISOGNO D’AMORE !”
giudice-penitente:- Finalmente qualcuno che ha il coraggio di dire la verità: il proprietario sarà stato un inglese o un americano, comunque uno « straniero » !

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Scheveningen sul « Noordzee » ( cliccare sulla foto per ingrandirla )

– Comincia a far freddo…

La porta della casa si apre. Ne esce un ometto simile al diavoletto che dice: – Perché non entrate un momento a scaldarvi ? poi sussurra dolcemente :

« Tuttavia stanotte potete riposare qui con me
su un giaciglio di verdi frasche ; abbiamo frutti maturi,
tenere castagne e latte rappreso in abbondanza.
E già lontano fumano i tetti dei casolari
e più lunghe dall’alto dei monti discendono le ombre. »

“Hic tamen hanc mecum poteras noctem
fronde super viridi : sunt nobis mitia poma,
castaneae molles, et pressi copia lactis.
Et iam summa procul villarum culmina fumant,
maioresque cadunt altis de montibus umbre.”

(Virgilio, Bucoliche, ecloga I- Titiro, vv.79-83, traduzione di Luca Canali, Rizzoli, BUR, 1978 )

NOTA 1: Albert Camus : La caduta, Garzanti,1958,1966 p.30, traduzione di Sergio Morando.

NOTA 1 : Albert Camus, La caduta, idem, p.12.

NOTA 2 : Albert Camus, La caduta,idem, p. 30

Nota 3 : Idem, La caduta, idem, p. 13

Mexico-City - Version 2

Il bar “Mexico City”, l’Aia.

Claudia Patuzzi

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