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scarti e metamorfosi

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Tag Archives: Giacomo Leopardi

Ci sono parole, piccolo vocabolario tascabile (poesie n.2)

13 Sunday Apr 2014

Posted by claudiapatuzzi in poesie

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Albert Camus, Canal Saint Martin, Carlo Levi, Claudia patuzzi, dante alighieri, Giacomo Leopardi, italo calvino, Jacques Prevert, Jean Paul Sartre, jorge luis borges, La riva destra, Parigi, piccolo vocabolario tascabile, poesie n.2, primo levi, Umberto Saba, Vincenzo Consolo

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Il Canal Saint Martin (cliccare sulla foto per ingrandirla)

Ci sono parole – piccolo vocabolario tascabile

Ovunque sola
ovunque straniera
ho compreso che le parole
come le pietre[1]
hanno il potere di abbattere
le lingue e le frontiere.

Quante parole cadono con fragore ?
Quante ondeggiano ancora nel vento ?
Quante parole tacciono, senza voce,
recluse nel cuore ?

Ci sono le parole-nave
veloci e leggere
che approdano sulla spiaggia dell’ « altro »
col sorriso di un ignoto marinaio[2]

Ci sono le parole-freccia
aguzze[3] come schegge di cristallo
che perforano lo schermo grigio
dell’ indifferenza e della rassegnazione.

Ci sono le parole-uccello
curiose e « vaghe »[4]
capaci di risuscitare la speranza
rinchiusa nella solitudine.

Ci sono le parole infantili
saltellanti come uno scoiattolo
che ci aiutano a ritrovare noi stessi
in un giardino perduto e incantato.[5]

Ci sono parole di sguincio rifrangenti
simili ai riflessi di uno specchio
prigioniere di misteriosi
labirinti e sogni.[6]

Ci sono le parole-onde
che attraversano gli ultimi rifugi
della storia, tutti gli inferni
e i cimiteri del mondo.

Ci sono le parole-fiore,
rosse come il sangue
degli innocenti,
che sbocciano sulle tombe
per ricordare l’ingiustizia.[7]

Ci sono le parole-rima
che raccontano ancora
senza annoiarci mai
le semplici parole :
« amore-fiore-cuore .» [8]

In fondo, per ultime,
ci sono le parole-vento
che volano minuscole nell’etere
in una bolla di sapone :
un folle volo.[9]

E per finire, nascoste in un angolo,
ci sono le parole inventate
non ancora trascritte
che premono sul guscio
come un pulcino nel nido.

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Qualcuno mi guarda (cliccare sulla foto per ingrandirla)

Claudia Patuzzi

[1] Carlo Levi
[2] Vincenzo Consolo
[3] Albert Camus et Jean Paul Sartre
[4] Jacques Prévert et Giacomo Leopardi
[5] Italo Calvino
[6] Jorge Luis Borges
[7] Primo Levi
[8] Umberto Saba
[9] Dante Alighieri

TRADUZIONE IN FRANCESE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’armadio di Calvino I/III (dialoghi immaginari n.1)

23 Sunday Mar 2014

Posted by claudiapatuzzi in dialoghi immaginari

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Antonio Ranieri, Campo Marzio, cane Asta, décalage Roma Parigi, Giacomo Leopardi, italo calvino, l'armadio di Calvino n.1, Lezioni americane, Ludovico Ariosto, Myrna Loy, Pantheon, Recanati, Roma 1985, San Remo, Villa Meridiana

001_Piazza180campomarzioPersonaggi : Italo Calvino e Giacomo Leopardi.
È la primavera del 1985: siamo in un appartamento del centro di Roma, nei pressi del Pantheon, con una portafinestra che dà su una grande terrazza.  Un’altra finestra, più piccola, guarda una stradina laterale.  Sulla parete accanto alla finestra, vi sono tre tavoli con molti libri, giornali, una macchina da scrivere, una bottiglia d’acqua, un bicchiere, una sedia, una poltrona. Contro la parete una libreria piena di libri. Vicino alla porta, un grosso armadio.

Italo Calvino sta guardando la strada fuori della finestra, ma in realtà, non la vede.  In quel momento è ancora nella sua casa d’infanzia a San Remo. Una cosa confusa che sta correndo nel  giardino lussureggiante di Villa Meridiana verso il profilo austero di sua madre. Lei si volta, gli sorride per un istante. È il primo pomeriggio e lui sta fuggendo di nascosto diretto al cinema.  Ha tredici o sedici anni… A quei tempi si rifugiava nella sala semivuota con le gambe allungate sulla spalliera davanti per godere il film  e nutrire le sue fantasticherie nel mondo di Hollywood, di Jean Harlow, Myrna Loy e il cane Asta…

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Calvino si copre la fronte con la mano: d’inverno, quando usciva dal cinema osservava spaesato il buio di fuori, simile a un  confine tra due mondi diversi, uno reale e uno immaginario, oscillando tra i due, indeciso tra realtà e rêveries… “Ma a che serve ricordare? Solo a distrarmi dai miei doveri…”.Dopo un sospiro,  si allontana dalla finestra, chiude i vetri, ritorna al suo tavolo e beve dun fiato un bicchier d’acqua.
” …Ho ancora la malattia dello spettatore, sono ancora un magazzino di sensazioni cristallizzate in ricordi… e poi tutto è finito, è sopraggiunta la censura del ‘38 e la guerra… Ai tempi del cinema di San Remo non conoscevo ancora il fascino dei libri, della letteratura…” mormora tra sé, mentre apre un libro.
– Signor Calvino ?
Una voce sconosciuta, dolce come quella di un bambino, lo sta chiamando. La voce di chi? In casa, oltre lui, non c’è nessuno.
Calvino si volta. La porta della stanza è chiusa. Ascolta con attenzione. Nessun rumore. Con una mossa improvvisa si affaccia di nuovo la finestra e, per un attimo, crede di rivedere Parigi, lo square Chatillon, la Tour Montparnasse, un grattacielo… Il negozio del macellaio… Le riunioni dell’Oulipo… La magnifica biblioteca…
“Due città, Roma, Parigi… ma che sto dicendo? Con San Remo sono tre e con Torino sono quattro…e con New York sono cinque! In quante città può vivere un uomo? Al massimo due… Uno scrittore, invece, ne può avere tante quante ne può immaginare, segrete e invisibili…
– Psst !
– Chi è ?
Stavolta Calvino ha capito da dove viene quel suono : dal vecchio armadio di fianco alla porta. Si alza con circospezione. Apre un’anta e immerge la testa tra i cappotti, le giacche, i pantaloni e un vecchio ombrello. Quando ne esce, ha un lieve sorriso sulle labbra : – Che paura, per un momento ho creduto… Ma che sto fantasticando? dietro i vestiti e i cappotti, c’è solo un ammasso di panni sporchi per la lavanderia…
Sollevato, Calvino torna al suo tavolo, riprende la penna e un foglio : – Accidenti, queste “Lezioni americane” non finiscono mai…  pensa ad alta voce mentre finisce di scrivere cinque lettere – “ tezza” –la seconda parte di una parola lasciata a metà:  “esat-tezza”.
“Il fascino della doppia t è che si può spezzare, dividere…” pensa invaghito dalle sue città, dallo slancio dei grattacieli di New York, dalla scalette a picco di San Remo, dalla serietà rettilinea delle strade di Torino…
– Psst !

Stavolta Calvino ha un sobbalzo. Resta immobile per qualche istante, poi si dirige con passo deciso verso la finestra. Forse qualcuno lo sta chiamando dalla strada. Quando si affaccia viene irretito dal brusio di quella vita frenetica che continua a brulicare là sotto,  mentre lui deve assolutamente scrivere delle conferenze americane per il prossimo millennio… Per fuggire quella strana sensazione alza lo sguardo verso il cielo dove volano e s’intrecciano  tanti puntini grigi e bianchi,  ali e cinguettii.  Un quadro astratto, grigio e azzurro. Quando si risveglia dalle sue fantasticherie, guarda preoccupato l’orologio. « Devo ritornare al mio lavoro » mormora tra sé.
– Psst signor Calvino !
Stavolta non ha dubbi. Una voce lo ha chiamato per nome. Dopo un istante d’incertezza corre verso l’armadio. Quando apre la seconda anta il mucchio di vestiti sporchi si muove verso di lui dicendo :
– Ma come, non mi riconosce ? Sono Leopardi, quello dell’ESATTEZZA !

004_LEOP DISEGNO 740 - Version 2
– Leopardi ? Il conte Giacomo Leopardi, il grande poeta di Recanati ?
– Sì, proprio lui, quello della LEGGEREZZA, almeno secondo quanto avete scritto voi : «capace di  togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare ».
– Conte… che fate qui ? Com’è possibile ?
– Sì, lo so, sono morto da 148 anni, ma le assicuro che non puzzo. Leopardi si soffia il naso con un vecchio fazzoletto, poi riprende a parlare: Si faccia coraggio, non sono un incubo. Mi dia subito una sedia, sono tutto infreddolito!
Calvino gli porge una sedia. – Si accomodi. Vuole un bicchier d’acqua?
– Grazie, con piacere !
Calvino guarda il poeta allibito, senza parlare. Leopardi beve rumorosamente, si asciuga la bocca con il fazzoletto e dice : -Sono venuto a ringraziarla !
– Ringraziare me ?
– Per tutto quello che sta scrivendo sulla mia leggerezza, esattezza e rapidità, anche se devo confessarvi che zoppico.
– Ne sono onorato.
– Nessuno mi ha capito.
– Già. È difficile essere capiti veramente, è meglio tacere.
– Sempre il solito colle, la donzelletta che vien dalla campagna e la tiritera sulle mie malattie e il mio pessimismo. Nessuno ha avuto un temperamento più allegro di me. Terribile e awful è la potenza del riso, chi ha il coraggio di ridere, ha anche il coraggio di morire ! E adesso circolano pettegolezzi su me e quel povero Antonio Ranieri !
– Per un classico del vostro livello queste chiacchiere sono bazzecole! Voi amate troppo la vita e soprattutto avete l’ironia, un’ironia…
– Attenzione signor Calvino: un’ironia fantastica, come la vostra !
– Avete ragione: quando si resta scornati a questo mondo bisogna bilanciarsi, trovare un equilibrio, sempre più difficile, basato sul minimo possibile, sull’essenzialità. Direi di più: sul potere del riso, ma leggero, aereo e al tempo stesso reale e preciso come Lawrence Sterne… sussurra Calvino abbassando la voce.
– … e come quello di Ariosto!
– Quante coincidenze !
– E poi un giorno ci si risveglia, come me, pieni di acciacchi, davanti a un Inferno puzzolente, simile a un’enorme gruviera…
– …o in una città invisibile.
– …o nell’Asia, come il mio pastore errante ! Signor Calvino perché non venite con me nell’armadio, vi voglio presentare Ludovico Ariosto e il castello di Atlante…
– … e il castello dei destini incrociati ?
– A Recanati i contadini giocavano sempre a carte, urlando, e a volte si scannavano. Ma i tarocchi sono un’altra cosa. Nascondono un segreto geometrico e un mistero inquietante… brr… potete chiudere la finestra? Qui sento freddo!
Calvino chiude la finestra, ma, quando si volta, Leopardi è sparito. Corre verso l’armadio. Guarda dappertutto. Ci sono solo i suoi vestiti, l’impermeabile e i soliti panni da lavare. L’armadio è vuoto. Niente che sia umano o quasi-umano…

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Apre di nuovo la finestra per vedere se, per caso, il conte non fosse uscito dalla porta d’ingresso. Sul marciapiede, lo scalpiccio dei passanti è coperto dalle voci e dal grido degli uccelli che riempiono il cielo azzurro dei loro voli improvvisi e bizzarri, simili a girandole.
« Mio dio ! », pensa con un tuffo al cuore, « che diavolo sto facendo? Non sono nel XVIII secolo, ma nel XX ! Non sono né a Parigi, né a Recanati, ma a Campo Marzio, a Roma !» Intanto Leopardi, con passi veloci, ha già raggiunto il Pantheon. I suoi Classici.

Claudia Patuzzi

Perché no ? (buffe storie n. 14)

19 Thursday Dec 2013

Posted by claudiapatuzzi in buffe storie

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Buffe storie n 14, décalage Parigi-Roma, Dolomiti, Fiat500, Ford Ka, Giacomo Leopardi, gioielleria Bulgari, idillio Alla luna, jaguar, Parigi, Parigi X arrondissement, Roma, rue de Vinaigriers, viaggio in paradiso n 14, X arrondissement

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cliccare sulla foto per ingradirla

« O graziosa luna, or mi rammento / Che , or volge l’anno, sovra questo colle/ Io venia pien d’angoscia a rimirarti (…) E pur mi giova/ la ricordanza, e il noverar l’etate/ Del mio dolore … » dice Leopardi ricordando  il suo dolore passato. E continua : « Oh come grato occorre, nel tempo giovanil … /Il rimembrar delle passate cose,/ Ancor che triste, e che l’affanno duri ! ». (“Alla luna”, Piccoli idilli, XIV, 1927)

Sono d’accordo con Leopardi. Ma quale valore ha la “rimembranza” quando si vive in  décalage, in un altro paese, in un’altra città? Da quando sono a Parigi il presente e il futuro si sono subdolamente insinuati in alcuni ricordi, allentando la rete, tessendo nuovi intrecci, scavando fori impercettibili in quell’antico e prezioso tessuto.  La città nuova grida a pieni polmoni il suo nome e la sua volontà,  s’insinua nella serratura della porta, batte seducente sui vetri, tremola minacciosa nel caminetto e, con una folata di vento, mi scompiglia le idee e i capelli in un corpo-a-corpo quotidiano. Dai suoi verdi colli, Roma ci guarda con l’indifferenza  di una signora grassa e compiaciuta. « Fate, fate pure, io sono sempre la stessa… » pensa, sdraiata sul tramonto rosso sangue come un’ immensa donna di pietra, sazia e immutabile…
Oggi, per caso, un ricordo è sfuggito all’assedio parigino. Stavo vagando per il X Arrondissement quando ho visto la vetrina di un’agenzia di viaggi : un gigantesco puzzle dell’Europa…

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« Da quanto tempo non viaggio ? » mi sono chiesta. « Certo, Parigi non è solo un’unica città, ma un insieme di città-quartieri diversi, ognuno con una personalità propria, per architettura, abitanti, posizione… anche l’aria e il sole e il cielo sono differenti da quartiere a quartiere… è una capitale fatta di tanti paesi diversi : “un puzzle”. «Che bisogno c’è di viaggiare ? » mi dico, mentre un’altra voce continua a bisbigliare : « E se invece uscissi da Parigi ? »
Uff ! decido di non pensarci e proseguo sullo stesso marciapiede. Poco dopo costeggio un enorme negozio di macchine dove campeggia una sola automobile. La osservo esterrefatta : quella macchina lucida come uno specchio, ha la stessa inaccesibilità di un grosso diamante su un baldacchino rivestito di seta rossa nella gioielleria di Bulgari.

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Mi vergogno del mio entusiasmo consumista. Da quando mi sono trasferita a Parigi ho smesso di guidare, incantata dal metrò e dall’efficienza dei grandi marciapiedi parigini e dei suoi bus pieni di vecchiette. Prima di partire ho venduto la mia ultima macchina, una « Ford-Ka » nera più veloce di un puledro … Improvvisamente mi ricordo della mia vecchia FIAT500, fedele e immortale, avuta come premio a diciotto anni…

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Roma, Corso Vittorio (cliccare sulla foto per ingrandirla)

Quante corse, insieme al mio cane Grog,  sulle panoramica di monte Mario ! Quanti incidenti notturni e sfuriate dei miei genitori … Guardando la jauguar mi vedo come sono adesso : ridotta allo stato pedonale, scarpe basse, occhiali da sole antiriflesso, un basco, un mini-ombrello, uno zaino capiente, i tickets della metro nelle tasche… La nostalgia di quelle quattro vecchie ruote mi stringe il cuore. E se comprassi una macchina ? No, non certo una jaguar, ma una macchina economica usata o un vecchio furgone dipinto come un pellerossa… Per un istante mi vedo in Bretagna, a Saint Malo, a l’Ile de Roi, in Lapponia, a Berlino, nell’isola frisone di Sylt , in Danimarca, a Gand o in Scozia, … ma l’incanto dura poco. Un omino  (forse la mia coscienza) mi guarda severo  dicendomi : « Non ti vergogni,  smettila! »

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Sulla via del ritorno mi accorgo che il Paradiso non è poi così lontano ; anzi, è a portata di mano. Perché spendere soldi ? Imbastire sogni grandiosi ?  Basta così poco per  accedervi: aprire una porta ed entrare da Maurice, nella sua cucina !

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… o dal boukiniste du rue de Vinaigriers, perdersi in quelle vecchie pagine scritte,  in quei libri ancora vivi di impronte umane, nelle loro immagini e disegni…  incunaboli di tante piccole lune leopardiane, ogni volta diverse e seducenti, ricorrenti e antiche…

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« Per viaggiare non serve lasciare Parigi… » penso, mentre salgo la vecchia scala di legno e apro la porta di casa. Ma una vocina impertinente continua a stuzzicarmi : « Forse un altro giorno, perché no ? »

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cliccare sulla foto per ingrandirla

Claudia patuzzi

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